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Digital marketing e professioni, quali sono le più richieste nel 2022

Vi hanno mai detto che tra 10 anni esisteranno professioni che oggi non ci sono e che gran parte di quelle conosciute scomparirà? Forse come previsione è un po’ troppo lungimirante per dare una risposta effettiva da parte nostra. Ma quel che è certo, per il momento, è che il mondo del lavoro si sta sempre più adattando al digitale e le figure richieste sono in costante cambiamento.   In particolare, una statistica elaborata da Ninja Marketing rileva quattro professioni che nel 2022 raggiungeranno tassi di richiesta elevati.      1- Copywriter   Letteralmente “scrittore di testi”. Nel mondo digital si utilizza il termine copy per definire i testi di natura persuasiva che vengono associati ai contenuti. Il lavoro del Copywriter è quello di produrre questi testi con lo scopo di attrarre audience, invogliando e coinvolgendo nella narrazione del prodotto o del servizio. Il Copywriter è un abile utilizzatore di scrittura persuasiva e la sua attività trova molto riscontro anche nelle neuroscienze: sa cosa attrae il pubblico e cosa desidera sentirsi dire. Anche se non nel vero senso della parola, si può dire che sia un manipolatore: attraverso le parole fornisce cornici di senso per gli utenti.      2- Digital Marketing Specialist   L’esperto di digital marketing, che osserva il mercato, lo studia e progetta soluzioni digitali coerenti con gli obiettivi. Il suo compito è quello di ideare le campagne digitali in linea con la brand image auspicata. Il Digital Marketing Specialist conosce i trend del mercato, così come le strategie più adeguate a raggiungere determinati obiettivi. Sempre più importante in questo campo, la figura del programmatic specialist, che si occupa di Programmatic adv e Customer Relationship Managament (CRM).      3- Digital Advertiser   Affianca i precedenti, padroneggiando strumenti di analisi statistica e di diffusione dei contenuti. In particolare, organizza le campagne digitali per raggiungere l’obiettivo, basandosi su una profonda conoscenza dei tool che il mondo digitale mette a disposizione. Il Digital Advertiser, dunque, ha ampie competenze tecnologiche e di analisi dei dati.      4- E-commerce specialist   Vi abbiamo già parlato della crescita esponenziale di e-commerce e marketplace in un nostro precedente articolo (potete leggerlo qui!). L’esperto di e-commerce si occupa di progettare, gestire ed incrementare le piattaforme di compravendita delle aziende con l’obiettivo di un buon posizionamento sul mercato. Il suo compito, dunque, è quello di strutturare l’architettura tecnologica delle piattaforme di compravendita online, in costante aumento dopo la pandemia.       Professioni e competenze trasversali     Specializzarsi in queste professioni significa rendersi competitivi nel mondo del lavoro.  Oggi, le competenze digitali sono un requisito essenziale per i nuovi candidati. Tra queste è sempre più incisiva la data analysis, ancora troppo poco diffusa al di fuori delle facoltà di economia e statistica, ma decisamente importante per le aziende.   Da tenere a mente, qualunque sia la vostra specializzazione, è che avere competenze trasversali sarà ciò che vi renderà professionalmente attraenti. In un mondo connesso e in continua evoluzione non c’è più spazio per chi si limita a una o due discipline. Sarà dunque necessario essere flessibili rispetto a diverse aree, dalla scrittura alla statistica, dall’economia alle neuroscienze. Ma anche avere spirito di adattamento per accogliere sempre con positività i cambiamenti, sempre più repentini nel digitale.    L’integrazione di hard e soft skills è diventata oggi un requisito più che un valore aggiunto: nel mondo nell’overload informativo, rendersi professionalmente competitivi non è semplice e anche solo una conoscenza in più può fare la differenza.

Instagram: cosa sta cambiando nel social del visual marketing?

Qualche settimana fa, Adam Mosseri, head di Instagram dal 2018, ha pubblicato un breve video sul suo profilo Twitter che in poche ore ha riscosso successo tra i professionisti e gli appassionati di social media marketing.  Mosseri parla di changes, cambiamenti di quello che fino ad oggi è stato considerato il social media più visual di tutti.    Cosa è cambiato?   Ai suoi esordi questo social media basava la sua natura sulla sola condivisione di immagini, rigorosamente in formato 1:1, accompagnate da un testo. A 11 anni dalla sua nascita sono stati fatti passi da gigante. Nuovi formati, una vasta scelta di filtri, hashtag, stories e reel hanno consentito a Instagram di posizionarsi tra le 5 piattaforme più utilizzate a livello mondiale (We Are Social).   …e cosa sta cambiando   Quello che Mosseri ha annunciato su Twitter è un cambiamento che era possibile intravedere già da un po’ di tempo su Instagram: da social interamente centrato sulla condivisione di immagini e brevi video si sta trasformando in una piattaforma che integra differenti modalità di intrattenimento. Ecco le aree che il team operativo della piattaforma sta gradualmente potenziando per offrire ai suoi utenti un’esperienza sempre più user centred.   Creators L’area destinata a chi utilizza la piattaforma come strumento di business. L’account creator permette infatti di sfruttare diverse funzionalità per potenziare il proprio profilo in ottica di visual storytelling e influencer marketing. Tra queste la possibilità di consultare report giornalieri (o settimanali), il filtro per i messaggi e le analisi statistiche sui singoli contenuti. Si tratta di una funzione utilizzata da influencer e brand che nei prossimi mesi verrà ulteriormente sviluppata per ottimizzare le esperienze di marketing.    Shopping Instagram ha implementato (e progressivamente migliorato) anche uno shop, dove account business possono vendere prodotti ad altri utenti. Questa funzione si configura come una vera e propria vetrina, in cui il cliente può confrontare prezzi e caratteristiche tra i diversi competitor. La pandemia ha accelerato il passaggio da uno scenario in cui il commercio tradizionale rimaneva predominante ad uno dove invece l’online lo eguaglia (e a volte lo supera).   Messaggistica Negli ultimi cinque anni, afferma Mosseri, il modo di connettersi con amici e familiari è cambiato. I messaggi sono touchpoint per eccellenza e per questo Instagram è costantemente impegnato a potenziare questa funzionalità.   Video L’area a cui Mosseri dedica una riflessione più profonda. Negli ultimi anni Instagram ha cambiato radicalmente la sua essenza: da app per il solo photo sharing a piattaforma di entertainment. Gli utenti  sono alla ricerca di divertimento, informazioni o consigli. I competitor sono diversi – si pensi solo al successo di YouTube e TikTok nel formato video – e per questo Instagram deve lavorare sodo per studiare strategie che mantengano sempre attraente la user experience.   Insomma, pare proprio che nei prossimi mesi potremo già sperimentare nuove funzioni e sicuramente toccheremo con mano la portata dei cambiamenti di Instagram.

Marketplace o e-commerce? Come scegliere il tuo negozio online

Aria di innovazione    Ci imbattiamo quotidianamente in siti di e-commerce o marketplace. Soprattutto a seguito della pandemia, l’utilizzo di piattaforme di compravendita è decisamente aumentato. Secondo Netcomm, 2020 l’Istat ha registrato un incremento degli acquisti online pari al +54% rispetto all’anno precedente. L’impressione è quella di essere di fronte ad un nuovo scenario di mercato: i negozi stanno evolvendo, spostandosi gradualmente nel mondo digitale.    Sempre più imprese decidono di aprire un e-commerce o posizionarsi in un marketplace. Alcune hanno compreso il potenziale di questa soluzione durante il lockdown e hanno deciso di proseguire. Altre hanno scelto di accompagnare al proprio negozio fisico uno online per aumentarne la visibilità in un momento di crisi. Quel che possiamo affermare con certezza è che l’investimento, se gestito con professionalità, porta i suoi risultati. Il primo passo da fare se si pensa di posizionare il proprio brand online è  scegliere tra un e-commerce e un marketplace. Vi diamo qualche piccola informazione per capire quale soluzione si adatta meglio al vostro business.   E-commerce: una soluzione personalizzata    Per e-commerce si intende un vero e proprio negozio online che porta il vostro nome. L’utente può entrare per dare un’occhiata ai prodotti e successivamente decidere se comprare. Se avete un sito web potete aprire un e-commerce direttamente al suo interno. In questo modo chi naviga ha la possibilità di farsi prima un’idea del brand, esplorando il catalogo che riporterà solo i vostri prodotti. Si tratta a tutti gli effetti della versione online di un negozio; ci sono gli scaffali con la merce (il catalogo), i prezzi esposti, il carrello, il servizio clienti (Faq o chat) e il logo. Andiamo più in profondità, Quali sono i vantaggi?   Circondato da te stesso Ciò che spinge particolarmente le imprese a scegliere di aprire un e-commerce è l’assenza di competitors. E’ possibile che anche loro ne gestiscano uno, ma sul vostro sito ci sarete solo voi. L’utente è quindi libero di visualizzare i prodotti senza il rischio che compaiano quelli della concorrenza.  Il tuo e-commerce sei tu  Visto che siete gli unici ad occupare quel sito, saranno vostre le scelte di stile. Potrete quindi personalizzare il vostro shop a piacere, inserire contenuti che ritenete utili (come le Faq) e gestire direttamente la comunicazione con i vostri clienti (chat o servizio clienti).  Un ROI assicurato  L’apertura di un e-commerce è da considerarsi un investimento. L’impresa o il privato dovrà affidarsi a un esperto per costruire la piattaforma. Questo però va valutato in termini di ROI (Return On Investment). Possedere uno shop online personalizzato, comunicare direttamente con la clientela e non essere circondato da competitors sono certamente fattori che influiscono sul successo. Grazie a questa soluzione innovativa sarete in grado di recuperare le spese.        Marketplace: il negozio comodo   Un marketplace è una piattaforma online in cui diversi venditori decidono di esporre i propri prodotti. Si tratta di un vetrina dove l’utente può ricercare e acquistare gli articoli di suo interesse scegliendo tra diversi negozi. Rientrano in questa categoria piattaforme come Amazon, eBay e Subito. Il venditore, o l’impresa, “affitta” uno spazio per poter esporre la sua merce che verrà classificata per categoria.  Perché posizionarsi in un marketplace?   Una gestione terza  All’interno di un marketplace, il processo di compravendita è mediato. Significa che la piattaforma ospitante si preoccupa di mettere in contatto venditore e compratore. Si assume la gestione degli ordini, della logistica e della comunicazione, agevolando il venditore. Quest’ultimo risparmia del tempo che potrebbe essere notevole se non ha familiarità con il World Wide Web.  Uno spazio in affitto  Il risparmio è anche in denaro. Se per la realizzazione di un e-commerce se ne doveva investire parecchio, per un marketplace le spese sono più contenute. Il venditore non si deve occupare della gestione e personalizzazione della piattaforma. Se poi non siete particolarmente abili potete avvalervi del supporto di un esperto. I costi rimarranno comunque più bassi rispetto a un e-commerce personale.  I giganti del web   Inutile dirlo. Piattaforme come Amazon, eBay o Subito godono di una notorietà indiscussa. Anche per questo sono decisamente più visibili online. Chi decide di posizionarsi in un marketplace avrà diverse chances di comparire nelle ricerche degli utenti. Ma attenzione. Ciò non significa che la comunicazione debba essere abbandonata. La presenza dei competitors deve sempre spingere i venditori a rendersi accattivanti    Possiamo concludere riassumendo le differenze tra un e-commerce e un marketplace in questo modo. Il primo è uno spazio di proprietà, sul quale si investe denaro per renderlo unico e personale. Al suo interno sono esposti solo i prodotti del brand e il venditore può interagire direttamente con i clienti. Il marketplace può essere visto come una bancarella in una fiera. E’ sempre gestito da un venditore che espone i propri prodotti e cerca di renderli interessanti. Come ospite, i costi di investimento sono più contenuti ma si trova circondato da diversi compertitors.     Vuoi avere maggiori informazioni su come aprire un e-commerce o posizionarti in un marketplace? Contattaci qui!

Social Media Management: l’importanza di “saper stare” sui social

Social Media Management: un’espressione, o meglio una professione, che oggi sentiamo nominare spesso, ma della quale forse non c’è ancora una piena consapevolezza da parte di chi non la pratica. Improvvisarsi gestori di pagine aziendali non porta mai a pieni risultati, e per questo ci si affida a professionalità competenti, qualificate e pratiche di strumenti d’analisi, in grado di fare la differenza.   Imprese e social media Oggi avere un profilo sui social è quasi irrinunciabile per le imprese, siano esse di piccole, medie o grandi dimensioni. E’ inutile girarci intorno, i social media sono diventati il canale di informazione per eccellenza. Nel 2021, la ricerca di informazioni è la ragione principale che spinge 2 utenti su 3 ad accedere (We Are Social). Li usiamo per leggere le notizie, consultare gli orari di apertura di un’attività, leggere le recensioni di un ristorante e moltissime altre cose. Questo dovrebbe suggerire da sé quanto sia importante per le imprese mostrarsi attive, non solo presenti, sulle pagine social. Tuttavia, non basta pubblicare contenuti e inserire informazioni essenziali per risultare accattivanti agli occhi del proprio pubblico. Esistono diversi aspetti dei social che vengono sottovalutati quando si tenta di gestire al meglio un profilo senza affidarsi ad un professionista.   Una figura professionale vera e propria La professione di Social Media Management è sicuramente recente ma oggi è ben consolidata; non solo, è anche sempre più richiesta dalle aziende, le quali si sono ritrovate a doversi costantemente confrontare con una nuova sfida: quella della loro presenza sui social media. Ma quali sono i compiti del Social Media Manager?   Non c’è strategia social senza un’analisi dei dati Un’attività che attira meno i dilettanti perché considerata superflua e per questo spesso trascurata. I dati sono uno strumento di misurazione delle proprie azioni sul web e sapere ciò che esse hanno prodotto non è cosa da poco. L’attività di Social Media Management inizia analizzando attentamente i dati, per capire lo stato di salute delle pagine e del settore di riferimento, e individuare la strategia più corretta. Che sarò sempre monitorata e, all’occorrenza, reindirizzata.   Pianificazione strategica Alla base di una buona strategia di Social Media Management c’è sempre un’organizzazione impeccabile. Benché l’invito delle piattaforme a condividere la qualunque e in ogni momento lasci trasparire il contrario, non è opportuno pubblicare tutto quello che si desidera quando lo si desidera. Occorre selezionare e pianificare i post e/o le storie che saranno pubblicati sulla pagina secondo un ordine preciso e sensato. Social Media Management significa proprio questo: la gestione/organizzazione dei social media che richiede tempo, dedizione e… anche intuito!   Un Social Media Manager deve saper comunicare Comunicare con il proprio pubblico è una dinamica essenziale per chi desidera promuoversi, sia dentro che fuori dal web. Bisogna poter contare su abili strateghi della comunicazione per evitare di incappare in spiacevoli inconvenienti o, ancor peggio, nell’anonimato. Non si tratta affatto di un’attività scontata, bensì richiede grandi abilità e anche una certa propensione: tutti comunichiamo, ma solo alcuni sanno farlo correttamente. Parlare ad un pubblico non equivale a parlare ad una cerchia di amici dove tutto è lecito: lo scopo è quello di vendere e bisogna saper individuare il giusto tono di voce, le giuste parole e soprattutto i giusti argomenti.   Coinvolgere, il potere dell’engagement L’obiettivo finale è quello di convincere gli utenti che dietro a una pagina ci siano degli esseri umani, dediti al loro lavoro e desiderosi di farsi notare. Il pubblico ha bisogno di sentirsi coinvolto dai contenuti di una pagina, di modo che associ quello spirito di iniziativa al nome del brand. Il Social Media Manager è consapevole di cosa produca o meno il giusto engagement e si preoccupa di sfruttare determinate leve al fine di perseguire questo obiettivo. I social non son più solo un luogo utilizzato per stare in contatto con amici e familiari. Sono diventati uno strumento di business molto potente per le imprese in ottica B2C ma anche B2B. Questo significa che, come al di fuori del web, la comunicazione non può essere lasciata nelle mani di chiunque: deve essere studiata, implementata e verificata da un professionista, in questo caso il Social Media Manager.

La conquista di Spotify nel digital audio advertising

A 15 anni dalla sua nascita, Spotify sfiora i vertici del settore del digital audio. Cosa ha determinato il suo successo? Certo, la distribuzione sempre più crescente degli smartphone è stato un fattore non indifferente. Si tratta senza dubbio del mezzo più utilizzato per il consumo di contenuti audio in forma digitale (ben il 68% degli italiani!). Lo sviluppo di tecnologie più recenti, il cosiddetto “Internet of things” delle Connected Cars, degli Smart Speakers e delle SmartTV, ha contribuito ad accrescerne il successo.  A non molta distanza dal suo ingresso, il Digital Audio Advertising ha conquistato il mondo del digital marketing. E Spotify si è rivelato un vettore particolarmente efficace di contenuti pubblicitari.    Un formato “fit” con il nostro tempo   Perché tanto successo? Il formato digital audio è perfettamente compatibile con lo scenario odierno: sfrutta un mondo connesso, nel quale possiamo contare su informazioni istantanee e in cui non siamo più disponibili ad attendere a lungo delle risposte. Sono contenuti fruibili nell’immediato, anche quando si fa altro, e non richiedono un grosso sforzo cognitivo da parte dell’utente. Insomma sono contenuti “smart” che si adattano agli stili di vita del secondo millennio e  non possono che essere accolti con entusiasmo.    L’Olimpo del digital audio: Spotify   Tra le piattaforme per contenuti audio più scaricate in Italia, al primo posto troviamo (anche senza rullo di tamburi) Spotify. L’applicazione di casa svedese ha conquistato le classifiche italiane per una serie di motivi, tra i quali gli abbonamenti accattivanti. Basandosi su un modello freemium, la versione gratuita concede l’ascolto di brani a patto che ci si presti a pochi secondi di pubblicità ogni trenta minuti. Questa soluzione sembra conciliare perfettamente i bisogni di utenti e inserzionisti.    Le ragioni del successo   Cosa stimola l’interesse delle imprese che interagiscono sempre di più con il mondo del digital audio? I contenuti in questo formato sembrano raggiungere un KPI soddisfacente e per questo Spotify si rivela uno strumento efficace in una strategia di marketing. Ed eccone le ragioni.    Il tempo è denaro L’espressione non potrebbe essere più azzeccata. La lunghezza dell’annuncio è, infatti, determinante per il successo della campagna: la versione free di Spotify permette l’ascolto di brani con un’interruzione ogni mezz’ora per la trasmissione di tre annunci di una durata massima di 30 secondi ciascuno, per un totale di 1 minuto e mezzo al massimo di pubblicità. Insomma, un compromesso più che accettabile per l’utente che non verrà infastidito eccessivamente dagli spot. Inoltre, l’unica via d’uscita per evitarli è quella di chiudere l’app, perdendo così la propria traccia musicale, probabilmente uno dei motivi per cui raggiungono ben il 90% di ascolti completi.   Everywhere at anytime  Per consumare i contenuti, l’utente non necessita di uno schermo: potrà ascoltare musica e annunci ovunque si trovi, al supermercato o al lavoro, e in qualunque momento, mentre guida o mentre pulisce casa.    Profilazione data driven Una campagna in formato digital audio consente di profilare il target secondo caratteristiche socio-demografiche, geografiche o per interessi. Inoltre, Spotify dà la possibilità di selezionare il target anche per dispositivo e per stato d’animo. Attraverso l’ascolto di un brano piuttosto che di un altro la piattaforma è in grado di comprendere se l’utente può rappresentare un potenziale cliente per l’advertiser. Incredibile, vero?   Insomma, il digital audio advertising può rivelarsi una strategia di marketing decisamente efficace se sfruttato nel modo corretto e con il supporto di professionisti del settore.    Se vuoi avere più informazioni sul Digital Audio Advertising contattaci qui!  

Programmatic Advertising: cos’è e come può aiutare la tua azienda

Che cos’è il Programmatic Advertising   Il Programmatic Advertising è una strategia di digital advertising, ovvero di pubblicità digitale. Chiunque, navigando tra una pagina e l’altra sul web, si imbatte in banner pubblicitari di diverse dimensioni, stili e formati. Non è un caso che quegli annunci si trovino esattamente in quello spazio e in quel determinato momento. Quell’annuncio è rivolto proprio a voi perché rientrate nel suo target di riferimento. Calma. Nessuno vi sta spiando. Ma, come vedremo nel prossimo paragrafo, comunicare i propri interessi è inevitabile quando si naviga online.    Il Programmatic Advertising permette di programmare, per definizione, la campagna pubblicitaria digitale per far sì che il messaggio giunga ad un pubblico specifico. L’obiettivo dell’impresa è catturare l’attenzione dell’utente e trasformarlo in potenziale cliente. Per questo motivo il procedimento risulta molto delicato: il pubblico va profilato correttamente, altrimenti si rischia il fallimento della campagna.   Tre elementi chiave per una campagna di Programmatic Advertising   Partiamo dai dati  Da un po’ di tempo a questa parte si sente spesso dire “data is the new oil”, “i dati sono il nuovo petrolio”. Analizzare i dati è fondamentale prima di partire con la campagna, perché ci aiuta a conoscere alla perfezione il nostro pubblico. Possono essere dati comportamentali o sociodemografici: i primi rispecchiano il comportamento che assumono gli utenti sul web, i secondi le loro caratteristiche sociali e geografiche.    Grazie alle tracce lasciate online dagli utenti, siamo in grado di ricostruire un ritratto digitale molto accurato. E su queste basi si costruisce una campagna di Programmatic Advertising. Una volta raccolti i dati necessari, la campagna è erogata.    Un target di qualità Come abbiamo appena visto, la scelta del target è il cuore di una campagna di Programmatic Advertising. Indirizzare il messaggio pubblicitario ad un giusto lead significa avere più probabilità che esso lo riceva e si trasformi in ROI (Return On Investment) per l’impresa che ha avviato la campagna.  Programmare una campagna digitale efficace significa investire sulla qualità del target e non sulla quantità. Un messaggio visualizzato da un elevato numero di utenti misti ha meno probabilità di colpire rispetto ad un altro visualizzato da meno utenti che, al contrario, sono potenzialmente interessati. Se, ad esempio, il mio intento è quello di promuovere un pacchetto vacanze in crociera, avrò più successo recapitando l’annuncio a pochi amanti del mare piuttosto che a tanti amanti della montagna.   Che ruolo hanno le piattaforme nel Programmatic Advertising? L’attività del Programmatic Advertising si svolge interamente sulle piattaforme digitali. Più precisamente, sono tre quelle in cui viene gestita la campagna. La DMP (Data Management Platform) gestisce i dati sia di prime che di terze parti, necessari per la selezione del target. La DSP (Demand-Side Platform) è adibita alle imprese che intendono acquistare spazio pubblicitario. Infine, la SSP (Supply-Side Platform) è utilizzata dai publisher per la vendita di spazi all’interno delle proprie pagine web. Queste tre piattaforme operano in contemporanea l’una all’altra al fine di gestire dati e spazi digitali per le campagne.      Perché scegliere il Programmatic Advertising? Questa tipologia di campagna prevede diversi punti forti. Due di essi li abbiamo già implicitamente definiti. Investire in una campagna di Programmatic Advertising significa disporre di dati relativi al comportamento e alla struttura del proprio pubblico. Inoltre, avere la possibilità di recapitare il messaggio ad un lead di qualità è sicuramente un valore aggiunto di questa strategia.  A questi fattori se ne aggiunge un terzo: il costo contenuto della campagna. Rispetto a quelle tradizionali di OOH (Out Of Home), il digitale permette di raggiungere efficacemente gli obiettivi prefissati anche a chi dispone di un budget più ridotto.   Vuoi saperne di più? Contattaci qui!

L’advertising ai tempi del coronavirus

Crescono i numeri della tv e dei media digitali, ma si registra un calo della spesa in comunicazione. Ma vi spieghiamo perché non è il momento di dimenticarsi dell’advertising. In queste complicatissime settimane per il Paese, alle prese con il Coronavirus, i numeri dei media digitali (e anche della tv) stanno crescendo moltissimo. E questo accade per due ragioni connesse tra di loro. Da una parte, la necessità di informarsi: cerchiamo costantemente notizie sull’andamento della pandemia, sul numero di contagi, o su quali saranno le misure adottate per arginarne la diffusione. Dall’altra, ci troviamo tutti tutti forzatamente a casa e quindi svolgiamo online parecchie attività. Dal tempo trascorso sui social media allo smart working, passando per servizi di streaming e siti o app per aiutarci a scandire il tempo sulla base degli interessi di ognuno. Pensiamo alle app che propongono allenamenti in casa o diverse ricette da provare.  Si tratta di una vera e propria impennata di traffico, che tuttavia non si traduce automaticamente in maggiori ricavi per ogni settore. Con l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, già diverse aziende hanno deciso di rimandare o sospendere le loro attività di comunicazione.  Cosa spinge ad annullare le campagne?  Gli utenti sono aumentati di molto, in alcuni casi più del 100% rispetto alle medie del periodo, ma preoccupa la “bassa monetizzabilità” del traffico generato, considerato il numero crescente di contenuti che trattano minuziosamente l’argomento Coronavirus. Cos’è che ha spinto tante aziende a rimandare o ad annullare le campagne? Il timore di vedere il proprio marchio o il proprio prodotto associato ad una pandemia globale. E in effetti è tutt’altro che desiderabile.  L’importanza di essere presenti, adesso Sono tanti i settori penalizzati, dai trasporti al cinema, ma anche turismo e lusso. La scelta di non esserci e di rimandare la propria comunicazione a un tempo migliore è comprensibile. Eppure non sono pochi neanche i brand che hanno scelto di essere presenti, adeguando il “tono di voce” delle proprie campagne a questo momento d’emergenza. Come? Facendo sentire la propria vicinanza alle persone, trattando tematiche più informative o valoriali. A distinguersi in questa fase sono aziende come Banca Intesa, Acea, Poste Italiane, ma anche Toyota, e la lista è destinata ad allungarsi. Insomma, usare un tone of voice corretto e adeguato al momento difficile può essere una grande opportunità in termini di comunicazione. Prima o poi la situazione migliorerà, come sta succedendo in Cina dove si registra una sorta di consumo “di ritorno” per ritornare poco alla volta alla normalità. Ecco perché è importante continuare mostrare la propria vicinanza ai consumatori in questa fase di emergenza: serve ad incrementare la loro fiducia e promette un ritorno nel medio periodo. Perché scegliere il programmatic advertising in questo momento L’incremento generalizzato dell’audience che si registra in questo periodo riguarda soprattutto i settori news e quelli dell’intrattenimento. La forma di advertising più premiata in questo momento è il programmatic advertising. È una tecnica di acquisto di pubblicità che unisce in tempo reale domanda e offerta. Proprio per questo consente di ottimizzare gli investimenti raggiungendo esclusivamente i contatti corrispondenti al target individuato. Perché va meglio rispetto alle altre forme di advertising in questo periodo? Perché mostra il contenuto che l’utente vuole vedere, nel momento in cui vuole vederlo.  Vuoi saperne di più? Contattaci subito!

Perché Netflix e YouTube abbandonano l’alta definizione

Parliamo di rete e parliamo di piattaforme che utilizziamo tutti i giorni per guardare contenuti in streaming. La notizia è di qualche giorno fa, ma è importante il ruolo del web in questo periodo di quarantena per l’emergenza Coronavirus. Netflix e YouTube, e successivamente anche altre piattaforme, hanno ridotto il loro bitrate nell’Unione Europea e nel Regno Unito. Perché? Per evitare il blocco della rete Internet a causa dell’altissimo numero di utenti sempre connessi perché bloccati in casa.   La richiesta della Commissione Europea a Netflix e YouTube   La Commissione Europea aveva chiesto alle due piattaforme di rinunciare all’HD per cercare di limitare il consumo di banda, di per sé già sotto stress a causa della quarantena imposta ai cittadini di diversi Paesi europei. Ad annunciare le richieste è stato il commissario europeo per il Mercato interno e i servizi, Thierry Breton. Con un tweet ha infatti annunciato di aver discusso con il CEO di Netflix, Reed Hasting, per cercare di non sovraccaricare Internet. Del resto questa clausura imposta per arginare la diffusione del Covid-19 ha portato moltissime aziende a optare per lo smart working, e occorreva trovare una soluzione per non mettere sotto pressione le infrastrutture. Guardare film e serie tv, o anche seguire i propri youtuber preferiti, è quasi un gesto consolatorio in questo periodo, un po’ per non sentirsi soli, un po’ per scandire il tempo. Ecco perché la Commissione Europea ha chiesto a Netflix e YouTube di passare ad una definizione più bassa. Sottolineando l’importanza di garantire che Internet continui a funzionare senza intoppi in questa improvvisa situazione d’emergenza.   La scelta di Netflix   Netflix ha colto al volo le preoccupazioni della Commissione Europea e, giovedì sera, ha annunciato la riduzione dei bitrate. Ma cos’è esattamente il bitrate? Il bitrate non è altro che un indicatore della quantità di dati emessa entro un certo periodo di tempo. Più è alto più, generalmente, viene associato ad alta qualità. Secondo la celebre piattaforma di streaming quest’operazione dovrebbe ridurre il suo peso del 25%, riuscendo comunque a garantire un buon servizio ai suoi abbonati.   E a seguire quella di YouTube e di altre piattaforme   Anche YouTube sembra aver trovato una soluzione simile,  scegliendo di abbassare la qualità di default impostata dalla piattaforma. L’idea è quella di impostare come risoluzione di default i 360 o i 480p, lasciando tuttavia all’utente la possibilità di passare all’HD o al Full HD in qualsiasi momento. In più negli ultimi giorni praticamente tutte le piattaforme di streaming hanno annunciato di aver accettato l’invito dell’UE: anche Amazon Prime Video, Disney+ ed Apple TV+ hanno fatto lo stesso.   Cosa cambia con le scelte di Netflix e YouTube?   Una cosa è certa: all’atto pratico cambierà poco per gli utenti. L’abbassamento del bitrate non ridurrà drasticamente la qualità video, anzi. Tuttavia gli abbonamenti che Netflix propone sono legati a standard qualitativi ben precisi e hanno un costo maggiore se l’utente sceglie il 4K. Come farà Netflix a rispettare sia gli accordi contrattuali che la richiesta avanzata dall’Unione Europea? Punta sulle capacità di adattare la qualità dello streaming alla banda disponibile. Nelle zone e negli orari di maggiore traffico, quindi, potrebbe non esserci più la possibilità di vedere contenuti in 4K; in momenti meno affollati sì. Comunque tutte le piattaforme garantiscono che, nonostante l’abbassamento dei bitrate, non ci saranno assolutamente problemi di caricamento.